Gabriele Vallarino, arenzanese classe 1988, è laureato in Scienze Biologiche (Biodiversità ed Evoluzione Biologica). Nella sua formazione ha sempre privilegiato lo studio del mare e il giornalismo ambientale. Attualmente è biologo di bordo dell’Acquario di Genova sulle imbarcazioni che svolgono attività di whale watching; sulle motonavi è impegnato sia come guida che come ricercatore per il monitoraggio cetacei. Socio attivista del WWF, Gabriele ci propone un viaggio nella natura alla ricerca di tutto ciò che c’è da scoprire sul nostro territorio, e oltre.
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Bisagno, un torrente da salvare per salvarsi
L’alluvione di Genova tra bene e male. Il bene degli instancabili angeli del fango che hanno “risollevato” la città; il male degli sciacalli che approfittano delle vendite “inzuppate” e che compiono furti. Il bene della catena di umanità che in poche ore ha rappresentato il vero piano-emergenza; il male di una burocrazia che blocca gli interventi per il dissesto idrogeologico e premia i dirigenti perché hanno portato a termine campagne di comunicazione (sacrosante) ma destinate a rimanere sulla carta, se non accompagnate da cambi di pianificazione urbana. E’ superfluo ricordare che non bastano le parole.
Genova è stata in questi giorni bene e male, politica e polemiche, buoni sentimenti come altruismo e solidarietà, ma anche cronaca di sprechi, scandali e inefficienze.
L’immagine che più di tutte racconta la triste e scellerata storia della Val Bisagno è quella cartolina del 1900, che inquadra il torrente e il suo naturale areale.
Un confronto del ponte di Sant’Agata, ieri e oggi. Ieri, 28 campate sovrastavano il suo letto, lungo 96 metri, rispettandone i suoi “umori”: il Bisagno può richiedere una portata di 1300 metri cubi al secondo. Oggi, il ponte è di 3 campate. Nella sua parte coperta, il torrente è largo 48 metri, con una portata striminzita di 450 metri cubi al secondo.
Dalla valle al mare si susseguono le pennellate di cemento che hanno soffocato il territorio: non è difficile immaginare dove vadano a riversarsi le acque, quando in eccesso.
Ieri, gli anni 30, erano gli anni della copertura del Bisagno. Ieri, gli anni del boom economico, erano gli anni della selva di abitazioni, del consumo di suolo e del territorio impermeabilizzato. La valle dei “besagnin”, i coltivatori per antonomasia (con il termine stesso, in dialetto genovese si identifica il verduraio), si è trasformata nella valle simbolo della “cattiva costruzione”.
E oggi? La natura più volte ha chiesto il conto, eppure, la lezione non l’abbiamo imparata.
Oggi, ci sono dei parcheggi nati nel 2010 che coprono il Fereggiano. Oggi, sul Rio Mermi (esondato nel 2011) sta per nascere un centro commerciale, Bricomen, al posto della cementifera Italcementi. Oggi, nella zona di Ponte Carrega c’è in progetto di costruire una tramvia e restringere l’ampiezza del Bisagno per un percorso di due chilometri.
Il Fereggiano e il Bisagno sembrano torrenti “carsici”, sono sotterranei per gran parte del loro percorso. Servono canali scolmatori, ma serve anche un cambio di mentalità: smetterla di considerare i fiumi come dei tubi d’acqua che danno fastidio perché non si possono costruire infrastrutture! Serve una manutenzione del territorio d’ampio respiro fatta di risanamento e rinaturazione, e che guardi anche più a valle.
Eppure non c’è più traccia di quei 2 miliardi e mezzo di euro stimati nel 2012 dal Ministero dell’Ambiente per intervenire in questo senso.
Laddove un tempo c’erano i terrazzamenti curati e una valle viva, adesso c’è l’erosione, ci sono frane e ci sono anche zone di rifiuti solidi abbandonati.
In Italia il dissesto idrogeologico è un problema serio: negli ultimi 5 anni ci sono state 16 tragedie di frane e alluvioni per un totale di 105 morti. Tuttavia ai piani alti non l’hanno ancora capito: soltanto 180 milioni in tre anni sono i soldi stanziati dalla legge di stabilità. Briciole con le quali bisognerebbe fare manutenzione del territorio, prevenzione del rischio e convivenza del rischio. Eppure lo sanno bene, quanto è più costoso intervenire dopo, una volta che ci sono i danni… ma questa è un’altra storia.