attentiaqueidueemmepiemmepi
attentiaqueidueemmepiemmepi

Intervista al giornalista arenzanese Tarcisio Mazzeo, tra sport e sociale: “Dobbiamo essere gli occhi degli altri”

Tarcisio Mazzeo, laureatosi con lode e dignità di stampa in Sociologia Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova, è giornalista professionista dal 1982, capo redattore della Sede Rai di Genova, dove attualmente opera come Responsabile degli inviati, spaziando dallo sport al sociale, trattando tutti i grandi eventi che si svolgono in Liguria, dalle elezioni politiche alle visite del Papa, dal Festival di Sanremo al Salone Nautico ed Euroflora.

Si è formato presso il quotidiano “Il Lavoro” di Genova, che ha poi lasciato nel 1986 per passare alla redazione Economia e Finanza de “Il Giorno” di Milano, facendo poi ritorno a Genova nel 1990.

Quale appassionato di calcio, segue principalmente Genoa e Sampdoria per “Tutto il calcio minuto per minuto” e cura i collegamenti da bordo campo in occasione di anticipi e posticipi, effettuando anche radio cronache da tutti gli stadi italiani, ma si occupa pure di pallanuoto e, non di rado, va a curiosare nel mondo del Rally, anche se invero la sua prima passione sportiva è stata la “noble art”.

Ed è proprio parlando di boxe che inizia la nostra chiacchierata : «L’aver praticato da giovane questo sport mi è servito d’aggancio all’inizio della mia professione di giornalista. Era il periodo d’oro della scuola pugilistica genovese, diretta dal grande Rocco Agostino. In quei tempi ho conosciuto l’indimenticabile campione Bruno Arcari ed avuto modo di seguire personaggi di livello mondiale quali Ray ‘Sugar’ Leonard, Roberto Duran (detto ‘mano de piedra’, ndr) e l’italoamericano Vito Antuofermo».

«La boxe – continua Mazzeo – è uno sport leale e come lo è stata per me, la ritengo una scuola altamente formativa dal punto di vista educativo. Ti dà forza morale, determinazione e ti fa capire come, attraverso il lavoro duro, si possano ottenere risultati importanti nella vita».

Dalla boxe al football. «Tutto il calcio minuto per minuto ha rappresentato uno spezzato di vita italiana che forse oggi non esiste più. In Rai ho conosciuto e lavorato con quel grande professionista che è stato Alfredo Provenzali ed i colleghi Cucchi, Dotto e Scaramuzzino, coi quali formiamo una vera squadra. Non è retorica, ma realtà l’affermare che siamo molto uniti. Recentemente abbiamo seguito il Giro d’Italia, col sottoscritto nelle vesti di radio cronista dalla moto».

Mourinho in “Questione di metodo” diceva: «La squadra che voglio è quella in cui, in un determinato momento e di fronte a una determinata situazione, tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente». Come non pensare a questo concetto di squadra nell’ascoltare Mazzeo che dice: «In effetti il giornalismo è un lavoro essenzialmente individuale, ma deve integrarsi in un lavoro d’equipe basato su un dialogo in comune, dove il lavorare assieme e l’intercambiabilità sono elementi fondamentali per effettuare bene la propria professione».

E nel sentirlo dire che «La radiocronaca, a differenza della telecronaca, ti offre la possibilità, se ne hai la capacità, di far immaginare a chi ti ascolta le cose che non può vedere», torna in mente quanto di recente scritto da un ascoltatore: «La tappa delle Tre Cime di Lavaredo l’abbiamo vissuta alla radio. Ma descritta così bene che ci sembrava di vederla in tv, anzi di più, di essere in strada, anzi di più, di pedalare con loro».

Per uscire dallo sport, gli abbiamo chiesto cosa lo ha spinto a dedicarsi ad attività solidali e missionarie nei paesi in via di sviluppo, campo in cui ha realizzato reportage dall’Africa, dal Brasile, dalla Repubblica Dominicana, dalle Filippine, dalla Romania, dalla Croazia, dalla Serbia e dalla Bosnia: «E’ compito del giornalista raccontare il mondo che la maggior parte degli altri non può vedere. Da piccolo, nell’oratorio missionario di Campolattaro, in provincia di Benevento, dove sono nato, ho avuto il mio primo contatto con il continente africano, attraverso un filmato che mi aveva naturalmente colpito, ma l’idea che mi ha portato finalmente in Africa è nata qui, ad Arenzano, tramite la conoscenza di Padre Anastasio dei Carmelitani del Santuario di Gesù Bambino. Mi sono chiesto dove sia la coscienza di ognuno di noi, se continuiamo a permettere che, al giorno d’oggi, muoiano bambini per denutrizione, mancanza di vaccini…».

E allora continuiamo col sociale; don Gallo si definiva angelicamente anarchico, e Mazzeo lo ricorda così:  «Oltre al già sopracitato Padre Anastasio, ho conosciuto, a Genova, don Gallo e don Antonio Balletto, precursore del dialogo verso altre realtà come l’Islam. Di don Andrea Gallo ho ammirato la sua totale dedizione verso gli altri, i più deboli in particolare, e la sua volontà di concedere a tutti la possibilità ed il diritto di essere persone. È stato un uomo di estrema generosità, l’accoglienza per lui era al primo posto. In una intervista gli chiesi come avrebbe voluto essere ricordato e mi rispose: come l’uomo della speranza, del dono».

Come non citare Paolo Borsellino che soleva dire: «Parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali, però parlatene». E’ questo uno dei compiti di ogni giornalista?  «Noi dobbiamo rappresentare gli occhi degli altri anche in situazioni di estrema insicurezza e bisogna portare rispetto soprattutto verso coloro che rischiano la vita per fare il proprio lavoro».

Torniamo al calcio, sia pur visto come mezzo politico, per andare indietro nel tempo, al Mundial argentino del ’78, quando allo stadio “Monumental” di Buenos Aires l’ Argentina divenne “campeon”, a circa un km di distanza dalle prigioni della famigerata Esma, dove le torture e la morte continuavano la loro realtà quotidiana.

Come spiegarlo al mondo? «I “periodisti” sportivi hanno delle attenuanti, vivono l’evento in un mondo blindato, quello che succede fuori viene assorbito dalla concitazione del racconto sportivo. E’ compito degli inviati non sportivi raccontare quello che accade intorno, questo è successo anche agli ultimi mondiali sudafricani».

In ultimo e non per ultimo, la famiglia: «Sono 29 anni che viviamo ad Arenzano, dove ho ritrovato la stessa dimensione del paese dove sono nato. I miei figli hanno aiutato me e mia moglie a diventare “arenzanesi”».

Nel salutarlo e ringraziarlo per la piacevole compagnia e disponibilità, ci sovvengono alla mente le parole di Giorgio Napolitano: «Se il giornalista è cieco vede solo le ombre. Se il giornalista non è cieco vedrà anche le luci».

E, giornalisticamente parlando, il campo visivo di Tarcisio Mazzeo è da dieci decimi!

.

Claudio Nucci