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Treno e Cinema, percorsi paralleli – L’Angelo del male, realismo e poesia del treno

La bocca di fuoco di una locomotiva è l’avvio del prologo, ventinove inquadrature in circa quattro minuti che fanno  viaggiare lo spettatore a bordo della locomotiva del rapido Parigi-Le Havre. Non ci sono parole, né colonna sonora. Immersi nella velocità e nel suo rumore, tesi e concentrati, il macchinista e il fuochista comunicano tra loro solo attraverso gesti e sguardi precisi e collaudati. Solo da quella prospettiva – la loro – tra lo sfilare di gallerie, ponti, segnali e scambi, si può comprendere che cosa significhi realmente condurre qualche tonnellata d’acciaio a più di cento chilometri orari. Ma l’esperienza e l’affiatamento dei due ferrovieri-amici, come sempre, si risolve nell’ordinarietà del pieno controllo di quel  treno, che poi si vede rallentare ed entrare in stazione. Molto diversamente da quanto accade nella vita di Jacques Lantier, il macchinista interpretato da Jean Gabin, condannata dall’impossibilità di controllare una tara ereditaria che lo condurrà sino alla tragedia finale.

L’Angelo del male (La Bête Humaine), diretto da Jean Renoir nel 1938, è tratto dal romanzo di Émile Zola, di cui rispetta il titolo originale, proponendo però un notevole adattamento narrativo e di ambientazione (si svolge nel Novecento). Valutato come un’autentica “sinfonia ferroviaria”, antesignano di ogni rail-movie per eccellenza, il film è introdotto da una  sequenza di apertura che è un vero capolavoro di montaggio, un brano da antologia che, secondo Carl Vincent, «deve essere nominata fra i migliori frammenti classici del cinema sonoro».

La bestia umana è da un lato la macchina antropomorfizzata e dall’altro l’uomo vittima del desiderio violento e irrazionale, in una società reale dominata dal pessimismo, ormai alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Alla cui rappresentazione ben si presta il mondo dei ferrovieri (molte immagini descrivono la vita nei depositi, con i dormitori, i locali destinati ai necessari lavaggi del dopo-servizio e la mensa) con le sue stilizzazioni e le visioni simboliche. Il dramma sociale, fondendosi col realismo poetico di Renoir, trova quindi molte opportunità di narrazione proprio attraverso i significati profondi suggeriti dal treno, dalle scenografie spettacolari messe a disposizione dalla ferrovia e dall’ambiente ferroviario in generale.

La trama. Jacques Lantier è un uomo con una tara ereditaria che lo rende vittima di pulsioni omicide. Sta bene solo con il fuochista Pecqueux e sulla Lison, l’amata locomotiva a vapore sulla quale entrambi lavorano. Sul suo cammino compare Séverine, una giovane donna il cui marito Roubaud, vicecapo della stazione di Havre, durante un viaggio in treno ha assassinato Grandmorin, l’amante della moglie. Séverine diventa l’amante di Lantier e gli chiede di eliminare il marito. Ma in un attacco del male di cui soffre, Lantier la uccide. Non resistendo al dolore e al rimorso per quello che ha fatto e per la sua impossibilità a dominare le crisi, si suicida gettandosi dalla sua “Lison” lanciata a tutta velocità.

Di grande spessore narrativo, ci piace ancora ricordare, è la scena dell’omicidio di Grandmorin, la cui struttura riporta alle regole della tragedia greca. La macchina da presa si ferma sull’inquadratura esterna dello scompartimento, nel quale il vicecapostazione Roubaud e la moglie Séverine entrano e, dopo aver chiuso la porta e aver tirato le tendine, uccidono Grandmorin. Per trenta secondi l’obiettivo rimane bloccato su quella scena inaccessibile, dietro la quale si può solo intuire ciò che sta accadendo. Poi altre inquadrature molto brevi descrivono il «dopo»: la fuga nel corridoio vuoto, la necessità di non farsi notare da Lantier che, fatalmente, si trovava a viaggiare sulla carrozza accanto.

Un nuovo adattamento cinematografico del romanzo di Zola fu girato nel 1954 da Fritz Lang, uscito in Italia con il titolo La bestia umana, per l’interpretazione di Glenn Ford, Gloria Grahame, Broderick Crawford e Edgar Buchanan. Con altre variazioni sul tema e un confortante, hollywoodiano happy-end.

 

La sequenza iniziale del film su

http://www.youtube.com/watch?v=7QoNL_yf62A

 

 

L’Angelo del male (La Bête Humaine)

Regia di Jean Renoir, dall’omonimo romanzo di Émile Zola, sceneggiatura di Jean Renoir.

Fotografia Curt Courant,

Montaggio Marguerite Renoir, Suzanne de Troeye,

Scenografia Eugène Louré,

Musiche Joseph Kosma,

Interpreti e personaggi: Jean Gabin (Jacques Lantier), Simone Simon (Séverine Roubaud), Fernand Ledoux (Roubaud), Blanchette Brunoy (Flore), Gérard Landry (Il figlio Dauvergne), Jenny Hélia (Philomène Sauvagnat), Colette Régis (Victoire Pecqueux), Claire Gérard (Una viaggiatrice), Charlotte Clasis (Tante Phasie la madrina di Lantier), Jacques Berlioz (Grandmorin), Tony Corteggiani (Dabadie, il capo sezione), André Tavernier (Il giudice istruttore), Jean Renoir (Cabuche), Julien Carette (Pecqueux)

B/N, durata 100′, Francia, 1938

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Roberto Scanarotti, giornalista e scrittore, ha pubblicato Treno e cinema. Percorsi paralleli (Le Mani editore, 1997), Aghi, Macachi e Marmotte – Dizionario semiserio per viaggiare in treno (ecedizioni, 2009) e Destinazione immaginario – Andata e ritorno nell’universo simbolico della ferrovia (ilmiolibro.it, 2012). Treno e cinema sono amici da sempre. Per l’esattezza dal 28 dicembre 1895, quando i fratelli Lumière – a loro insaputa – firmarono l’atto di nascita della settima arte portando in scena proprio un’inquietante locomotiva con alcune carrozze al traino. Da quel momento in poi, dopo letterati, poeti e pittori, anche i cineasti furono attratti dal fascino della ferrovia, e non ci volle molto tempo prima che il treno diventasse un celebrato protagonista degli schermi. Roberto Scanarotti svelerà miti e riti della ferrovia su celluloide, attraverso una serie di segnalazioni focalizzate su rail-movie e dintorni.  Buon viaggio sui binari dell’immaginazione, dunque, anche ai pendolari che viaggiano ogni giorno su quelli reali e sono quindi poco sensibili alle suggestioni poetiche del mondo dei treni. Ma tant’è: parafrasando Bogart, bisogna pur ricordarsi che “è la ferrovia bellezza, e tu non ci puoi fare niente!”.