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Fattore Verde – Sulla Haven ci si può “ubriacare”: tutti i rischi di un’immersione tecnica

Gabriele Vallarino, arenzanese classe 1988, è laureato in Scienze Biologiche (Biodiversità ed Evoluzione Biologica). Nella sua formazione ha sempre privilegiato lo studio del mare e il giornalismo ambientale. Attualmente è biologo di bordo dell’Acquario di Genova sulle imbarcazioni che svolgono attività di whale watching; sulle motonavi è impegnato sia come guida che come ricercatore per il monitoraggio cetacei. Socio attivista del WWF, Gabriele ci propone un viaggio nella natura alla ricerca di tutto ciò che c’è da scoprire sul nostro territorio, e oltre.

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Sulla Haven ci si può ubriacare. Ecco tutti i rischi di un’immersione tecnica

Intervista a Michele Boccia, sommozzatore professionista arenzanese della marina mercantile

 

subTrecentoquarantaquattro metri di lunghezza, 51 metri in larghezza per un carico lordo di 230mila tonnellate. Sono questi i numeri del relitto più grande del mediterraneo: la superpetroliera Haven. Affondata nel 1991 dopo una tragica esplosione ed oggi teatro di immersioni. Ma se il fascino di questo gigante è irresistibile, come dimostrano i molti sub che attrae da tutta Europa, è pur vero che la prudenza non è mai troppa, e l’ambita meta turistica sa anche essere una sciagura. Basta un piccolo errore di valutazione dell’attrezzatura per trasformare la gita in un incubo fatale.

 

Michele Boccia, arenzanese e sommozzatore della marina mercantile di Savona non ha dubbi: «L’attività subacquea non è uno scherzo, è un’attività fisica a tutti gli effetti, serve ottima preparazione atletica». Per questo ci svela tutti i rischi di un’immersione pericolosa come può essere quella della Haven, per la quale serve un «bagaglio di conoscenze e di esperienza molto solido perché si tratta di un’immersione tecnica vera e propria con il punto dell’elica che raggiunge gli 80 metri».

Insomma, per godere delle bellezze nascoste sotto il mare «bisogna usare la testa» ripete perentorio Michele. Ma quali sono i rischi che si corrono scendendo giù nel blu? E soprattutto come affrontarli?

Prima di immergersi

La prima raccomandazione da osservare è quella «di immergersi almeno in coppia» in questo modo si riduce notevolmente la possibilità di un incidente, «in due si può risolvere meglio un problema e affrontare un’emergenza, evitando che l’errore si trasformi in un serio rischio per la propria incolumità» avverte Michele. Se questa è una raccomandazione sacrosanta per tutti i tipi di immersioni, è bene ricordare che per la Haven esiste il divieto specifico di immergersi in solitaria, e l’obbligo di appoggiarsi sempre e comunque a un diving center.

Il passo successivo é quello sia di effettuare un controllo accurato dell’attrezzatura, in particolare con gli analizzatori di miscela verificare la composizione delle bombole, sia consultare alcune tabelle dette pianificatori di immersione, che sono fatti apposta per mantenersi entro le condizioni di sicurezza durante la decompressione.

Per quanto riguarda i consumi di ossigeno bisogna tenere in considerazione tutte le variabili, come iperventilazioni da stato d’animo o affaticamenti da correnti marine.
Anche lo smaltimento dell’azoto varia a seconda della persona: «Tra i molteplici fattori individuali vi è l’età, il sovrappeso, la disidratazione, l’affaticamento, il consumo di alcol e le grosse variazioni di pressione prima e dopo l’immersione, come per esempio i viaggi in aereo o i soggiorni in alta montagna  che sono sempre fortemente sconsigliati – precisa Michele – in ogni caso, per immergersi così in profondità, é sempre bene tenersi in forma praticando un allenamento cardiovascolare, e non sottovalutare le proprie condizioni di salute: anche un semplice raffreddore o l’aver assunto delle medicine ci deve tenere in allerta».
Ogni sub é bene che al polso abbia l’apposito computer che oltre a funzionare da orologio e da profondimetro, è tarato sui livelli medi di smaltimento dell’azoto ed è perciò in grado di segnalare in anticipo se si sta uscendo (pericolosamente) dalla curva di sicurezza.

Scendendo verso la meta sottomarina

La questione centrale è proprio la pressione. «Scendendo in profondità, aumenta la pressione, causando un effetto tossico di due elementi che compongono la nostra aria che respiriamo: l’ossigeno e l’azoto». Ebbene sì, l’ossigeno, elemento vitale in superficie, sa essere anche mortale: «Un’esposizione prolungata di questo elemento ad alte pressioni parziali può causare conseguenze sia a livello polmonare che neurologico» .

Mentre l’azoto ad alte pressioni ci ubriaca: avete capito bene, i sintomi che si riscontrano sono quelli tipici di un’abbondante bevuta e, infatti, il termine tecnico di questa patologia è narcosi di azoto o ebbrezza da profondità. «Si comincia ad avvertire oltre i 30 metri, inizialmente il soggetto è in uno stato di lucida euforia, poi la sua mente comincia a offuscarsi – racconta Boccia – ma naturalmente si tratta di una manifestazione soggettiva, la narcosi di azoto dipende dalla fisicità e preparazione del subacqueo, perché si può gestire rendendola innocua».

Ad ogni modo se i professionisti come Boccia possono gestirla egregiamente, per la subacquea ricreativa oltre i 40 metri é vietato respirare aria così com’é nella sua composizione in superficie, ma è necessario caricare le bombole con «una miscela composta da ossigeno, elio e azoto – spiega Michele – un trimix che può variare a seconda delle specificità dell’immersione e che ad esempio riporta come valori un 20% di O2, un 25% di He e un 55% di azoto».

Che cos’è cambiato rispetto all’aria di superficie? Gran parte dell’azoto è stato sostituito con l’elio. Questo perché «l’azoto ad alte pressioni si può legare con l’ossigeno formando N2O, composto responsabile dell’ebbrezza. Invece, l’elio che è che un gas più leggero e inerte, entra in soluzione nei tessuti presenti nel nostro corpo più velocemente e con la stessa velocità fuoriesce subito». Ma con una raccomandazione: l’elio, essendo molto volatile, raffredda più rapidamente il nostro organismo, imponendo quindi un abbigliamento adeguato.

Quando si risale in superficie

Ancora una volta il pericolo è la pressione e l’azoto. «Alle pressioni elevate a cui si trova il sub sott’acqua, l’azoto in eccesso viene depositato in forma liquida nel sangue e nei vari tessuti, ma man mano che si effettua una risalita, in particolare se troppo rapida, esso può liberarsi in forma gassosa e provocare pericolose bolle, proprio come succede quando stappiamo (e quindi togliamo pressione) ad una bottiglietta gassata».

Per legge, la risalita dai fondali perché sia in sicurezza deve essere lenta, all’incirca 18 metri al minuto, così da consentire al corpo di eliminare l’azoto assimilato nei tessuti durante l’immersione. E per il medesimo motivo bisogna rispettare le soste di sicurezza, fino all’ultima che si effettua ad una profondità tra i 3 e i 6 metri per un tempo tra i 3 e i 5 minuti.

Come ricorda Michele: «In trimix non puoi sbagliare, non puoi pallonare, non puoi permetterti un errore nella velocità di risalita». Risalendo si corre anche il rischio di sovradistensione polmonare, per questo ai sub si insegna a non smettere mai di respirare, non trattenere mai il respiro, perché tappare le vie aeree anche solo durante una minima risalita (e dunque variazione di pressione) può causare il più grave incidente dei subacquei: la rottura dei polmoni causata dall’espansione dell’aria nel tessuto respiratorio.