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Treno e Cinema, percorsi paralleli – Il destino di Anna Karenina

 

Morire sotto a un treno. Ovvero: aggiungere valore tragico alla tragedia che è già implicita nell’idea di morte. Prima ancora del cinema, che di morti sui binari ne ha mostrate in grande quantità, già la letteratura aveva fatto propria la drammaticità dell’investimento, del suicidio o dello scontro ferroviario: basti citare il Dickens di Dombey and son, il romanzo The prime minister di Anthony Throllope, lo stesso Zola della Bête Humaine (nel romanzo viene descritto un grave incidente ferroviario, tralasciato da Renoir ne L’Angelo del male), o l’episodio «A painful case» dei Dubliners di Joyce. Tolstoj, che aveva ambientato in uno scompartimento ferroviario La sonata a Kreutzer, assegnò proprio al treno il compito di officiare il sacrificio di Anna Karenina, classico e mai tramontato simbolo dell’amore impossibile molto celebrato dal cinema. Alla prima versione del 1927, per la regia di Edmund Goulding, si sono infatti succedute nel tempo quella del 1935 di Clarence Brown e altri remake che portano le firme di Julien Duvivier (1948), Aleksandr Zarkij (1968), Simon Laughton (1985), Bernard Rose (1997) e Joe Wright (2012).

L’Anna Karenina su celluloide per eccellenza resta tuttavia la versione di Clarence Brown, prodotta da Selznick e interpretata dalla “divina” Greta Garbo (già protagonista della prima versione muta del 1927). Premiato come migliore opera straniera alla terza edizione della Mostra di Venezia, il film non ha  propriamente i tratti del capolavoro, ma ha fatto comunque riempire le sale e piangere molte generazioni di spettatori. Soprattutto alla fine, quando il treno, emblema di progresso e di libertà, diventa suo malgrado lo strumento di morte deputato a segnare il destino di Anna.

La trama. Anna conduce una vita familiare piatta e monotona, priva di amore. Si innamora di un ufficiale di cavalleria, il conte Vronskij, e, abbandonata la casa, fugge con lui in Italia. Ma la storia sfiorisce, con forti ripercussioni sul piano sociale. Anna torna a casa e viene cacciata dal marito. Sola e abbandonata, matura la scelta di suicidarsi lasciandosi cadere sotto a un treno.

Che il destino di Anna sia fortemente legato alla ferrovia, lo si può comprendere sin dall’inizio: un treno la conduce a Mosca, dall’ufficiale Alexej Vronskij (Fredric March), e all’arrivo la porta di una carrozza, nella nebbia prodotta dal vapore, è il luogo in cui appare al futuro amante. Ma un tragico episodio si presenta subito come cattivo presagio: il ferroviere che poco prima l’aveva inavvertitamente urtata finisce sotto le ruote di un vagone, non appena il convoglio si muove.

Nel ritorno in treno a Pietroburgo, lo scompartimento è il luogo della lettura, del ritiro in sé, contrapposto alla tempesta di neve che imperversa all’esterno e al successivo incontro con l’ufficiale, metafora della passione erotica che ha acceso il cuore della donna.

Nel film, privo di quella carica di emotività e della complessità psicologica che affiorano dalla lettura del romanzo, chi domina è l’eroina disposta a sfidare le convenzioni sociali e ogni possibile disgrazia, pur di liberarsi dalla prigione familiare e di tornare a sentirsi un essere umano. Ma arriva il momento delle disillusioni e dell’impossibilità di resistere alla perdita dell’amore e sopravvivere nel mondo da cui era fuggita.

Brown mostra la desolazione di Anna, rimasta sola nella stazione di Mosca, e ne coglie lo sguardo che si sofferma su un verificatore (anche il ferroviere vittima dell’incidente al suo arrivo a Mosca era un verificatore). Quella figura acquista un naturale e improvviso magnetismo per la donna, che si avvicina, mentre si sente il rumore dei colpi assestati alle ruote col lungo martello. Il treno si muove. Ora lei è ferma sul marciapiede e il montaggio alterna le ruote, il treno e il suo volto, sul quale le luci e le ombre create dal convoglio in movimento costruiscono un effetto di alta drammaticità. Cresce il ritmo, aumenta il senso della velocità, quindi viene inquadrato l’attimo in cui Anna Karenina si lancia tra i vagoni: l’autopunizione è eseguita, inconsapevole giustiziere – ancora una volta – un treno.

 

Anna Karenina (Usa, 1935)

Regia: Clarence Brown

Soggetto: da Anna Karenina di L. Tolstoj

Sceneggiatura: Clemence Dane

Fotografia: William Daniels

Musica: Herbert Stothart

Interpreti: Greta Garbo, Fredric March, Basil Rathbone, Freddie Bartholomew, Maureen O’Sullivan, May Robson, Reginald Owen, Reginald Denny

Produzione: mgm

b/n

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Roberto Scanarotti, giornalista e scrittore, ha pubblicato Treno e cinema. Percorsi paralleli (Le Mani editore, 1997), Aghi, Macachi e Marmotte – Dizionario semiserio per viaggiare in treno (ecedizioni, 2009), Destinazione immaginario – Andata e ritorno nell’universo simbolico della ferrovia (ilmiolibro.it, 2012) e Ultra vendeva noccioline (2013). Treno e cinema sono amici da sempre. Per l’esattezza dal 28 dicembre 1895, quando i fratelli Lumière – a loro insaputa – firmarono l’atto di nascita della settima arte portando in scena proprio un’inquietante locomotiva con alcune carrozze al traino. Da quel momento in poi, dopo letterati, poeti e pittori, anche i cineasti furono attratti dal fascino della ferrovia, e non ci volle molto tempo prima che il treno diventasse un celebrato protagonista degli schermi. Roberto Scanarotti svelerà miti e riti della ferrovia su celluloide, attraverso una serie di segnalazioni focalizzate su rail-movie e dintorni.  Buon viaggio sui binari dell’immaginazione, dunque, anche ai pendolari che viaggiano ogni giorno su quelli reali e sono quindi poco sensibili alle suggestioni poetiche del mondo dei treni. Ma tant’è: parafrasando Bogart, bisogna pur ricordarsi che “è la ferrovia bellezza, e tu non ci puoi fare niente!”.