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Treno e cinema, percorsi paralleli – “L’assalto al treno”, film dei record

Siamo nel 1903, e Edwin S.Porter gira un cortometraggio destinato a entrare nella (e a fare la) storia del cinema. L’assalto al treno (The Great Train Robbery) detiene infatti diversi record: è il primo western a soggetto, il primo film poliziesco, il primo di inseguimento. Con questa pellicola  Porter  anticipa poi persino Griffith, introducendo un linguaggio cinematografico che utilizza l’incalzante successione dei quadri e la diversificazione dei piani di ripresa,  utilizzando un montaggio che per l’epoca è a dir poco innovativo. Ma, se non bastasse ancora – ed è quello che a noi qui più interessa- va detto che si tratta anche dell’opera che inaugura il ricorso al treno come elemento fondamentale del dramma, liberandolo dal ruolo tipicamente documentaristico che sino a quel momento aveva ricoperto in quei pochi anni di vita della settima arte.

E’ proprio da qui che prende vita la rappresentazione di quel binomio treno-western destinato a diventare nel tempo un autentico topos cinematografico. E rivisto chissà quante volte nelle infinite pellicole di cow-boy  e indiani con cui si sono emozionate diverse generazioni, non escluse le ultime: basterebbe ricordare il recente The Lone Ranger (Tarantino, 2013), o  il remake di Quel treno per Yuma (Mangold, 2007).

Richiamato già nel titolo, nel film di Porter il treno è senz’altro il vero protagonista di una classica storia di frontiera americana, con rapina, caccia ai banditi e punizione finale. Negli undici minuti di azioni incalzanti lungo i quali si sviluppa la narrazione, il treno domina la scena per poco meno della metà del tempo: uno spazio da vero protagonista, quindi, o quantomeno da inedito (sino ad allora) elemento fondante del tessuto narrativo.

Semplice quanto estremamente dinamica la successione delle scene, che qui ci sembra utile riassumere per far meglio comprendere quanto lo schema narrativo dell’Assalto al treno abbia successivamente contribuito a indirizzare la filmografia del Novecento.

Due banditi armati fanno irruzione nell’ufficio del capostazione e gli ordinano di scrivere un messaggio per il treno che, nel frattempo, attraverso una finestra si vede entrare in stazione. Il ferroviere, sotto la minaccia delle armi, consegna il foglio al capotreno, che si affaccia allo sportello. Poi i banditi lo colpiscono e, legato e imbavagliato, si affrettano ad uscire.

Entra in scena la locomotiva, che va a fermarsi sotto il serbatoio dell’acqua. Il fuochista, sul tender, manovra il tubo per fare rifornimento e quando termina quattro banditi salgono di nascosto sul treno, che riparte. All’interno della carrozza valori, intanto, l’impiegato sente che qualcuno sta forzando la porta e, intuendo il pericolo, chiude col lucchetto la cassa del denaro e getta la chiave all’esterno, attraverso la porta aperta del vagone. Si mette poi al riparo, carica la pistola e spara ai due banditi che sono nel frattempo entrati, ma questi lo colpiscono, quindi applicano una carica di esplosivo al lucchetto, si impossessano del bottino ed escono.

Sulla locomotiva si vede  un bandito che punta la pistola contro il macchinista. Il fuochista, imbracciando il badile, affronta l’altro aggressore ma gli va male: al termine della colluttazione il ferroviere (cioè il suo manichino) viene gettato dal treno. I due ordinano quindi al macchinista di fermare il treno.

Nella scena seguente il treno è fermo sul binario. I banditi ordinano al macchinista di sganciare la locomotiva che viene quindi fatta avanzare di circa dieci metri. Dalle carrozze scendono con le mani alzate i passeggeri, che vengono quindi derubati dai fuorilegge, tutti con i volti coperti da fazzoletti. Un uomo tenta la fuga, verso la macchina da presa, ma è freddato con un colpo alla schiena. I banditi fuggono sparando in aria e salgono sulla locomotiva, mentre i viaggiatori si avvicinano all’uomo ucciso.

La locomotiva parte poi si ferma e i banditi, scaricato il bottino, fuggono lungo la scarpata, oltre la quale si intravedono alberi e un fiume.

L’attesa di un treno che promette facili guadagni, l’arrivo, l’assalto alla cassaforte, il corpo a corpo sul treno in movimento, la rapina ai passeggeri, l’uccisione di un passeggero, la fuga in locomotiva: in ognuna di queste circostanze, oggi divenute paradigmatiche, il perno centrale della narrazione è proprio il treno, macchina del movimento per definizione, ma anche macchina dei desideri. Il mitico simbolo della conquista del West, il «cavallo d’acciaio» che verrà poi celebrato da Ford e De Mille, si conferma tale anche in un’apparente situazione di passività, proponendo un diverso modo di interpretare il concetto di «conquista».

Nella seconda parte del film, le coordinate che saranno proprie del genere western si definiscono con maggior precisione. Ora, le immagini mostrano la scena di una festa che si interrompe quando arriva la notizia che hanno rapinato il treno. Si parte all’inseguimento a cavallo, con alcune sparatorie alle quali segue infine la resa dei conti, proprio quando i banditi sono convinti di averla fatta franca.

Vincono i buoni, insomma, anche se nella realtà Jesse James riusciva spesso a farla franca. Ma i valori di una nazione giovane e fiera della propria storia, d’altro canto,  non possono ammettere altro finale al primo western della storia del cinema.

Celebre la scena finale, che in alcune copie del film veniva montata indifferentemente all’inizio o alla fine, in cui il capo dei banditi, in primo piano, spara verso la macchina da presa, cioè verso il pubblico. Un’inquadratura di sei secondi, da molti considerata l’esempio più antico di primo piano ravvicinato della storia del cinema. Un altro record, insomma.

Guardatevi questo capolavoro su youtube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=Ftkr7gOUshk

 

L’assalto al treno (The Great Train Robbery, 1903)

Regia: Edwin S. Porter

Sceneggiatura: Billy Martinetti

Interpreti: Georges Barnes, Frank Hanaway, Max Aronson (Broncho Bill), Mary Murray

Produzione: Edison

Origine: USA

B/N

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Roberto Scanarotti, giornalista e scrittore, ha pubblicato Treno e cinema. Percorsi paralleli (Le Mani editore, 1997), Aghi, Macachi e Marmotte – Dizionario semiserio per viaggiare in treno (ecedizioni, 2009) e Destinazione immaginario – Andata e ritorno nell’universo simbolico della ferrovia (ilmiolibro.it, 2012). Treno e cinema sono amici da sempre. Per l’esattezza dal 28 dicembre 1895, quando i fratelli Lumière – a loro insaputa – firmarono l’atto di nascita della settima arte portando in scena proprio un’inquietante locomotiva con alcune carrozze al traino. Da quel momento in poi, dopo letterati, poeti e pittori, anche i cineasti furono attratti dal fascino della ferrovia, e non ci volle molto tempo prima che il treno diventasse un celebrato protagonista degli schermi. Roberto Scanarotti svelerà miti e riti della ferrovia su celluloide, attraverso una serie di segnalazioni focalizzate su rail-movie e dintorni.  Buon viaggio sui binari dell’immaginazione, dunque, anche ai pendolari che viaggiano ogni giorno su quelli reali e sono quindi poco sensibili alle suggestioni poetiche del mondo dei treni. Ma tant’è: parafrasando Bogart, bisogna pur ricordarsi che “è la ferrovia bellezza, e tu non ci puoi fare niente!”.